venerdì 4 novembre 2011

WE ARE WHAT WE ARE (Un film da vedere)

WE ARE WHAT WE ARE

Jorge Grau dirige una riflessione lucida e aberrante sulla famiglia e sulle sue contraddizioni: tra violenze tribali e rituali cannibalici, Somos lo que hay, titolo originale del film, fa il verso all’horror senza rinunciare al coté sociale.
Una famiglia di cannibali miete le proprie vittime nelle periferie più disperate dell’America Latina. Quando il capofamiglia muore, la moglie e i tre figli dovranno continuare la tradizionale caccia all’uomo. Non sarà semplice, anche e soprattutto per le rivalità tra fratelli (uno burbero e violento, l’altro riflessivo e accomodante) che, in periodo di interregno, scoppieranno violentemente mettendoli l’uno contro l’altro. Soltanto la sorella Sabina saprà prendere in mano la situazione, gestendo l’incipiente nevrastenia della madre e le ripicche tra i due contendenti. 



L’inizio di We are what we are è folgorante, un capolavoro di rigore concettuale e formale. Un uomo anziano e disperato, un vagabondo, vestiti sdruciti e sguardo da pazzo, trascorre le giornate a fissare le vetrine dei centri commerciali. Quando vede la propria faccia riflessa sul vetro, un volto grottesco e sdentato, annebbiato da una follia impaurita e tremebonda, è preso dal panico e comincia a fuggire. Corre, urta i passanti, incespica, dopo di che cade a terra sconvolto dalle convulsioni. I fantasmi della sua vita l’hanno ormai raggiunto e consumato. A quel punto entrano in scena gli addetti alle pulizie che, con i loro spazzoloni, i carrelli e i detersivi, rimuovono il corpo disteso al suolo. La gente passa, gli acquirenti acquistano, i consumatori consumano. Ignari di tutto, come se nulla fosse successo veramente.
 
La famiglia è al centro di tutto: la necessità di sopravvivenza spinge due fratelli a lottare per il ruolo di capofamiglia, con quello che ne consegue, il potere, il dominio assoggettante sugli altri membri, la responsabilità di dover cacciare e uccidere. Non che nessuno dei due si tiri indietro, eppure le metodiche impiegate sono talmente contraddittorie che la conciliazione tra le parti è soltanto l’illusione di chi crede che niente sia cambiato. Alfredo (Francismo Barreiro) è uno con la testa sulle spalle, intelligente, giudizioso, pensa sempre prima di agire. È lui che tiene a bada il fratello, Julian (Alan Chávez), un pazzo scatenato che in una scena rapisce e massacra di botte una prostituta, con così tanti testimoni che l’intervento della polizia è scontato. E poi la sorella Sabina (Paulina Gaitan), ragionevole come Alfredo ma sottilmente spietata come Julian, capacissima di mediare tra rapporti conflittuali che, in una complessa relazione triangolare di affetti e ritorsioni, coinvolgono i fratelli e vertono sulla madre. La quale, già in contrasto col marito, scarica su Alfredo la propria rabbia, parteggiando per il rivale, figliolo prediletto e vezzeggiato. Anche Julian se la prende con Alfredo, perché troppo onesto e assennato, e se non fosse per Sabina l’ira divamperebbe senza controllo.
 
Purtroppo quando c’è da compiere il “rituale” i dissidi si fanno insanabili: Julian porta a casa una meretrice, ma siccome il padre era un puttaniere la madre non ne vuole sapere. Così ammazza la donna e la scarica in mezzo a una strada, di fronte agli stessi testimoni del rapimento. E quando Alfredo recupera un omosessuale, è Julian che rifiuta la preda perché lui “non mangia i froci”. Il punto di non ritorno è raggiunto, la lotta intestina avrà esiti fratricidi.
 
Il film di Grau, messicano con diversi corti in curriculum, è indefinibile dal punto di vista dei generi: non è un horror, non è un film a tematica sociale, quanto una sorta di sintesi oppiacea e nebulosa tra i due estremi. Mantenendosi a debita distanza dalla storia, dalla narrazione, dal suo viluppo di trame e sottotrame, il regista studia come un entomologo i suoi personaggi e le loro stranianti relazioni. Senza dare giudizi, senza fornire chiavi di lettura o modelli valutativi. Grau è una divinità onnisciente che in fin dei conti non intercede per le sue creature, e della cui bontà è forse lecito dubitare.

                                                                                                                          
                                                                                    Marco Marchetti          Fonte www.Nocturno.it

Libertà

Non lo sono e forse non lo sarò mai, ma se dovesse succedere saprei cosa fare; libertà concettuale.