mercoledì 7 settembre 2011

Quando Pippo prese il fucile

Se c’è una cosa che mi pesa negli ultimi anni è quella di vedere sempre più di rado i miei amici, e se c’è una cosa che odio della mia amata città e che spesso senza volerlo mi allontana da loro. L’impiego è la croce, restare è il peccato, l’amore è il crocifisso ed il dubbio è la lancia che ti buca il costato. Un giorno di Novembre, squilla il telefono. Come sempre premo il tastino verde del mio cellulare in maniera cosi veloce da non riuscire a scorgere sullo schermo il numero che mi chiama. La fretta la metterei in cima ad una potenziale lista di cose che odio, quindi un po’ mi odio. Dopo qualche secondo di perplessità, sento una persona piangere in linea, penso tra me e me: hanno sbagliato. La voce dall’altro lato della cornetta mi chiama per nome, non hanno sbagliato! Non mi hanno voluto neanche al 190, queste sono le prime parole che mi vengono dette in quella telefonata. Io penso: che cazzo è il 190? La voce continua dicendo parolacce ed inerpicandosi in architetture linguistiche dal sapore neoclassico, opere d’arte denigratoria, dell’offesa verso terzi e conclude dicendo: due mesi di corso, due mesi di corso, cazzo! Continuo a non riconoscere la voce, ma comincio a farmi un idea dell’argomento. Marco sono Pippo, continua la discussione in maniera strascicata quella voce rotta dal pianto. Ecco, scoperto l’arcano penso tra me e me. Sono felice di cominciare a trovare le quadrature della misteriosa quanto curiosa conversazione. Sentire un mio carissimo amico scomparso da qualche tempo è una gioia e soprattutto sono felice di aver capito di chi cavolo era quella voce mutata ed impastata dal pianto. Pippo è un mio amico di lungo corso, uno dei migliori per essere precisi, ragazzo brillante a scuola, non il migliore nei modi ma sicuramente l’intelligenza più viva della mia classe alle elementari. Negli anni avevamo scelto percorsi formativi diversi fin dalle superiori, ma non c’eravamo mai persi di vista. Complice della nostra amicizia una smodata passione di entrambi per la Paystation. In quattro abbiamo passato intere notti a massacrarci i pollici a Winning Eleven. Lui aveva scelto di studiare storia all’università, quindi anche lui rientrava a pieno titolo nella sempre più diffusa schiera dei “110 buoni motivi”, come li chiamo io. Tale definizione è la sintesi di una mia teoria sulle difficoltà di impiego per un laureato al sud, nel caso di Pippo credo che ne sarebbero bastati uno o due dei centodieci motivi per spiegarmi l’esito del suo fallimentare corso. Pippo continuava il suo sconnesso discorso dicendo che senza addurre motivazioni plausibili, avevano scartato due di loro su diciotto a questo fantomatico corso per un call-center di servizi Telecom, guarda caso gli unici due laureati. Io un idea sulle possibili motivazioni plausibili l’avevo, ma l’ho tenuta per me, è una di quelle contemplate nelle centodieci motivazioni di cui sopra, cioè, la motivazione numero due: il laureato ha ambizioni. Per molti datori di lavoro o come li chiamo io i “fustigatori d’ opportunità” gli ambiziosi danno fastidio, fanno domande e talvolta tirano in ballo i diritti. Pippo continuava lo sfogo, io un po’ ascoltavo ed un poco pensavo ad i cazzi miei. Il suo discorso era servito in una salsa dal sapore logoro e deja-vu, quelli della mia generazione possono capirmi e condividere con me la noia che si cela nell’ennesimo pianto di un amico per una delusione lavorativa, succede troppo spesso a troppe persone ed oltretutto io sono un pessimo confidente. Pensavo tra le altre cose a che fine aveva fatto Marco Predolin, il baffutissimo presentatore dopo l’incredibile successo del gioco delle coppie nella seconda metà degli anni ottanta e l’infame e mendace voce che girava tra i ragazzi dell’epoca che lo davano per morto di Aids, si era dato alla macchia della tv italiana. Non so perché mi sia venuto in mente Predolin, ma il pianto di Pippo che i baffi non ha, mi aveva fatto pensare a questo. Dopo aver attaccato, comincio a pensare che forse sia salutare per me vedere uno psicanalista. Pippo poco prima di attaccare minacciava d’ammazzarsi, quindi magari lo psicanalista lo prenoto per due. Io ovviamente non gli ho creduto, anche perche sono fermamente convinto che nell’aldilà non hanno la Playstation e soprattutto non è possibile giocare le nuove versioni del nostro videogioco di calcio preferito. Qualche giorno dopo la telefonata ho incrociato Pippo in un locale, beveva birra e sorrideva ad una biondina.

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